sabato, maggio 27, 2006

QUATTRO



Scrivi cose semplici ! Più leggibili, scorrevoli che possano essere afferrate al volo anche dal lettore pigro drogato dalla televisione facile facile. Mi ripeto spesso questi suggerimenti e poi finisce che non rispetto mai questo buon proposito. Diavolo ! Sarà che mi piace la complicazione inutile ? Sono perverso : non riesco a omologarmi alle tipiche scorciatoie offerte al lettore medio italiano (ma non esiste – in realtà – né il concetto di medio né quello di italiano nella mia testa sfasciata). O forse ascolto troppo nuovo jazz rinascente nel Lower East Side di New York. Seguendo le improvvisazioni avvitarsi in volute di fuoco e fumo mi pare che contengano qualcosa di vivo di indisciplinabile, qualcosa di prezioso da tentare di introdurre anche nella scrittura di ogni quotidiano miracolo restituito attraverso la scrittura ad una sua condizione di possibilità: se è successo questo prodigio oggi, potrà (dovrà !) accadere ancora domani. Grazie David S. Ware ! grazie Hamid Drake ! grazie William Parker ! e faccio solo tre nomi tanto per non annoiarvi, perché mi piacciono così tanto i nomi degli autori, mi danno un tale senso di speranza che vorrei scrivere un diario costruito da un solo lunghissimo elenco di artisti, musicisti, scrittori, registi che mi aiutano ad andare avanti anche quando non ne ho proprio nessuna voglia, cioè sempre. (wonderful photo : John Rogers)

TRE

Sensazione avuta camminando veloce nel centro della mia città, come sempre affollata di turisti :gli edifici invecchiano e io resto giovane. Le pareti delle chiese si anneriscono per lo smog, le pietre delle pavimentazioni si sbrecciano e si smussano nella antica piazza. Il mio passo è rimasto elastico, identico a quello si venti anni fa. Un momento di ottimismo volato a colpirmi creando una variazione nelle mie consuete auto-denigrazioni depresse e colpevoli (ma ormai anche un po’ gioco di teatro, abito comodo, giocoso intreccio di maledizioni che saettano tra me e la città in cui sono nato).

DUE

Compro la rivista di musica d’avanguardia, jazz ed elettronica. Già la copertina del mensile inglese mi trasmette un senso ultraterreno di modernità o di contemporaneità (c’è differenza tra questi termini ? resto nel dubbio, sarebbe un discorso rischioso, andiamo avanti) comunque voglio dire che mi fa sentire vivo, inserito dentro una comunità di pensanti, di ascoltatori non schiavi, avventurosi. Presunzione ? Snobismo culturale ? Forse. Ma così mi sento un poco meno inutile, meno morto, meno zombie. L’equilibrio grafico delle pagine, le foto dei musicisti, dal taglio sempre non ovvio, le pubblicità dei nuovi cd e dei concerti – belle, così eleganti che è difficile immaginare qualcosa di più cool – tutto mi piace di “Wire”. Una specie di medicina, per me.

UNO

Sono entrato nella galleria d’arte. Era un deposito, sembrava un garage. Ha la struttura allungata di un corridoio, solo un po’ largo. Senza finestre. Uno spazio soffocato, ma appena procedo vedo le grandi tele verticali di Giovanni Frangi. Una serie alla mia destra è sul tema del disgelo: imponenti lavori a dominante bianca contengono lo splendore del freddo. L’altra serie alla mia sinistra rappresenta il fondo marino. Verde e blu profondi in modo doloroso. C’è una energia in questi quadri che mi dà una frustata, un surplus di spinta. Vibrano di potenza naturale. La materia olio brucia anche nell’acqua anche nel ghiaccio, spezza dei vincoli e mi regala una forza per ore e ore. Vorrei comprare questi lavori per portarmi a casa la sorgente della potenza. Qui la modernità è fuori discussione, non penso alla storia dell’arte, penso alla mia salvezza, alla resistenza contro il sistema infernale, il peso del mondo. Un esempio di come lo spazio astratto possa essere carico di energia, percorso da magnetismi, visioni. Rivelazioni. Dentro la galleria senza finestre, dentro la stanza murata. Mi è sembrato di uscire da una cripta dove era custodito un segreto tesoro.