venerdì, maggio 25, 2007

Tom Verlaine



Da vecchio amante dei mitici Television (il gruppo del Verlaine americano :Tom Verlaine) non posso evitare di confessare che amo anche il suo ultimo disco Songs and other things dove troverete ricami elettrici di squisita fattura ed invenzione che vi porteranno per un attimo a dubitare della negatività dei tempi in cui tutti siamo immersi invocando una redenzione un briciolo di identità un pezzetto di anima dentro il fantoccio di pezza queste canzoni tracciate dalla voce singhiozzante mi accendono un po’ di buonumore e voi sapete bene quanto questo evento sia miracoloso lungo le mie giornate e le mie notti e mi riportano alla gioventù lontano dal presente incendiato quando generalmente sono portato ad analizzare i colori cangianti del fallimento posso affermare ufficialmente che in queste ballate nevrotiche mi riconosco sempre come tanti anni fa e ne ricavo un sovrappiù di energia ed una consolazione spero duratura.

martedì, maggio 22, 2007

Il Pianeta Richter


Se scrivo che Gerhard Richter è il maggiore pittore vivente, esagero ? Forse no. Anzi, magari dico anche troppo poco: è una formula che non rende l'ampiezza del suo pensiero. Lui riesce a congiungere in un solo sistema intellettuale e formale l' astrazione vitale del gesto e le figure della realtà catturate con precisione fotografica, senza perdere la poesia della visione. Quindi mi pare che lo spazio mentale di Richter non sia meno strabiliante dello spazio racchiuso dentro le sue opere. Il maggior problema, per un altro pittore, è quello di non farsi risucchiare a morte dal suo stile, come se si rischiasse ogni momento di essere attratti nell' orbita della sua arte e bruciati, annullati, schiacciati dalla gravità del Pianeta Richter.

venerdì, maggio 11, 2007

Basquiat & gatto



Qui siamo nella leggenda assoluta. Penso che a Jean-Michel Basquiat (1960-1988) importasse più vivere che dipingere. Ho sempre avuto l'impressione che le opere rappresentassero per lui soprattutto la continuazione inevitabile di uno stile di vita. Per questo motivo quando dipingeva riusciva a mettere dentro le sue figure quella elettricità pazzesca che inseguiva fuori dallo studio, fuori dalla celebrità, fuori dall'arte. Se poi vi capita di osservare dal vivo i suoi disegni - anche i più elementari eseguiti a matita - comprenderete che davvero sono una specie di scrittura vitale in presa diretta: scheletri, corone sulla testa di ragazzi di strada, sigaretta fumata all'angolo della strada, il graffio che diviene graffito e affresco di tutta un'idea di civiltà urbana americana.
Dicono che lavorasse in studio vestito di tutto punto con abiti di Armani. Dicono che abbia spesso regalato le mazzette con migliaia di dollari appena riscossi dai collezionisti ai primi poveracci incontrati in strada. Insomma: era un Re.

giovedì, maggio 10, 2007

Klimt & gatto


Questa foto mi regala un senso di allegra libertà. E' il ritratto di Gustav Klimt ! Ve lo immaginavate così ? Io no: me lo figuravo serioso, autorevole e impettito nella divisa di Grande Artista Viennese, insomma un po’ tronfio nel suo ruolo. Invece qui è vestito come un monaco figlio dei fiori e pare del tutto appagato dall’affetto del proprio gatto. Potrebbe essere un qualsiasi barbone che vediamo al margine della strada. Invece è il pittore che – insieme a Van Gogh e Picasso – ha dipinto alcuni dei quadri più costosi di tutti i tempi (il suo Ritratto di Adelle Bloch-Bauer del 1907 è stato di recente venduto a 135 milioni di dollari !). Il contrasto tra l’immensa fortuna economica delle opere e l’aspetto ascetico e disinvolto del loro creatore mi affascina e mi fa sperare – non so perché – in possibili futuri miglioramenti della specie umana.

martedì, maggio 08, 2007

Invettiva 2



Sempre più spesso mi trovo prigioniero davanti alla televisione. Ascolto gli esperti naufragati sul palcoscenico parlare un dialetto di alba e tramonto. Mentre rifletto sulle loro parole già mi sento un po’ diverso e più solo. Sono troppo lontano dalle preoccupazioni del dominio corrente economico, quindi condannato alla marginalità. Mi dispiace parecchio di avvertire questo sentimento di malinconia: mi pare il segno di una caduta imminente. Mi sforzo di reggere la fatica, mi concentro per catturare dentro lo spazio di uno sguardo tutta l’ampiezza della stanza, fin dove l’occhio può spingersi, oltre lo schermo, al di là del muro. Spero di raggiungere una visione piena, dettagliata, analitica ma non fredda, come accade nelle foto meravigliose della giapponese Rinko Kawauchi che ti lascia balenare davanti agli occhi l’istante pieno di incanto, ti colpisce con la suprema eleganza della semplicità.
Da cosa devo liberarmi? Se i miei occhi vedono solo merci e strategie di dominio, da quali malattie sono stati colpiti ? Quando il fantasma dell’autenticità torna a visitarmi, mi affatico per provare a stabilire una linea di confine tra giovinezza e maturità, ma non sono assolutamente all’altezza della situazione. Non sono capace di asciugare le lacrime della ragazza, non riesco a infondere in lei il coraggio che non possiedo.

sabato, maggio 05, 2007

Invettiva


vu2
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Da cosa devo liberarmi? quale peso devo scagliare via ? è un fardello personale, tutto privato, tutto raggrumato nelle mie tasche oppure è un dolore aperto alle correnti del sociale, un vento di cambiamento sognato, invocato, mai arrivato ? sono innumerevoli i lacci che mi hanno avviluppato durante questi ultimi anni vissuti nell’Italia finta modernizzata, un paese in realtà devastato in cui il denaro si moltiplica a formare piramidi altissime, torri del dominio per governare la vertigine sociale, un vero campo di battaglia, un terreno in cui si spalancano abissi, dislivelli splendenti che inghiottono le mie passeggiate mentali.
Paesaggi umani sovrapposti, incrociati, frammentati fino a trasformarsi in geroglifici di impossibile interpretazione. Chi ha trasformato in spettacolo di intrattenimento le idee più rivoluzionarie ? ma la rivoluzione – vi prego, fate attenzione – dal mio punto di osservazione non è mai stata il cambiamento violento delle gerarchie di potere. La mia idea di rivoluzione riusciva a passare attraverso il filtro delle canzoni dei Velvet Underground: li ascoltavo abbandonato sulla poltrona di vimini, con in pugno il mio negroni come fosse uno scettro, una palla magica in cui scorgere la forma delle cose a venire, la successione caotica delle fidanzate, lo schianto dei lutti familiari, l’assottigliarsi del patrimonio familiare fino ad un grado infimo che renderà insopportabile l’impresa di sbarcare il lunario, lo sfumare di qualsiasi minimo successo artistico fino ad ingigantire il dubbio di essere un grande stupido, nel migliore dei casi un grande mentitore a me stesso, proprio come Roland Barthes al termine della vita pensò di avere dato corpo non ad una scienza, ma ad un fantasma del tutto personale, una maledizione di rigore costruito sulla sabbia, una questione privata, nulla di scientifico, la semiologia stava nuda davanti agli occhi del suo creatore, non era l’alba di una nuova logica ma il tramonto della ragione, l’ultimo fuoco di una mente desiderante. Allo stesso modo – scusate il paragone eccellente che mi permetto – io sono assillato dal dubbio di essermi inventato un intero mondo di cartapesta scadente che a tutti gli altri deve essere apparso miserabile e solo a me qualcosa di stupendo.

venerdì, maggio 04, 2007

Elias / 1



Elias amava i momenti in cui Zoe si sedeva al pianoforte solo per lui. Appoggiava le mani sopra la tastiera e prima di cominciare ad eseguire la nuova composizione si voltava a sorridergli rapida. Era un guizzo di buonumore, un lampeggiamento che prometteva qualcosa di importante. Suonava la prima volta con l’ansia e le increspature di una forma ancora in raffreddamento dopo essere uscita dal magma. Lui adorava anche quando Zoe si limitava ad accennare poche battute di un tema che aveva trovato e le pareva interessante, per farglielo gustare in cambio di una opinione fresca, formulata senza troppe valutazioni tecniche ad intralciare la percezione.
Prima di ogni esecuzione domestica Elias avvertiva la tensione salire mentre lei si predisponeva a suonare. In certi casi Zoe sembrava sopportare a fatica il carico delle proprie intuizioni, appariva eccitata e preoccupata.
Ad Elias piaceva moltissimo stare seduto ad un metro di distanza dalle zampe lucide del pianoforte, accoccolato sul pavimento, raggomitolato per non darle fastidio, cercando di farsi invisibile per spiare meglio le prime note che si aprivano nell’aria della stanza. Avrebbe voluto fondersi con la musica, sciogliersi del tutto dentro la trasparenza dei suoni, invece restava lì, con il corpo pesante ma sensibile ad ogni minima vibrazione. Quando si abbandonava ad improvvisare, lei era tutta avvolta dal fluire di una corrente privata. La vedeva a poco a poco riacquistare tranquillità : i muscoli della schiena sotto la maglietta si rilassavano accompagnando lo sviluppo delle costruzioni sonore in progressione.
Se foste stati lì, avreste visto uno spettacolo di intimità assoluta tra autore, esecutore, strumento musicale e pubblico (formato dal solo Elias).
Grazie a queste esecuzioni Elias riusciva ad allontanare l’angoscia del futuro e la tentazione di dissolversi, emozioni che lo minacciavano spesso, colate di nera materia psichica tanto familiari ormai da sembrargli inevitabili pesi da sollevare, tributi imposti da una divinità sadica in continua espansione dentro l’eternità crudele. Era una sua maniera scomoda di stare dentro il mondo, ne era anche un po’orgoglioso, come se avesse brevettato uno stile personale di sofferenza. Appena queste considerazioni si srotolavano dentro la mente di Elias con prontezza venivano disintegrate dalla musica di Zoe.

giovedì, maggio 03, 2007

Canyon 2/Un anno di Esplorazioni


Scrivo questo blog Esplorazioni da un anno. Mi sto arrampicando sopra un crinale sempre più ripido. Continuo a scrivere. Niente da perdere. Mi sono ritrovato nella corretta disposizione d’animo per ascoltare alcune singole voci recitanti nella foresta stracolma di ombre. Ho cercato un lessico di salvazione personale. Un tentativo dettato dall’innocenza, dall’ingenuità, dall’onestà. Disincantato, una sola volta mi sono abbandonato alla disperazione. Lacrime che voi non avete mai visto sono scese maestose a rigare il volto nello specchio, hanno tracciato ramificazioni sulla pelle degli zigomi. Colature passate dalla mia pelle allo schermo luminoso.
Spesso l’incanto della scrittura mi sembra giungere ad uno sbarramento insuperabile, oltre il quale intuisco solo pietra durissima o pareti di piombo che non posso squarciare. E l’orizzonte pare diventato un anello di tempo ripiegato sopra se stesso, un cielo irraggiungibile. Per fortuna ho saldato i miei debiti schiantando i nemici: ho scacciato i bevitori del mio sangue, i becchini smagriti che balbettano le loro sentenze di condanna e godono a tagliare le teste degli avversari per farci giocarci a pallone i figli prediletti.
Quando sono stanco di girare in tondo, prometto a me stesso una resurrezione nella quale io per primo fatico a credere, e mi pare di ritornare alla casa trovandola devastata in mia assenza.
Affondato nella poltrona sorseggio un liquore con un bel colore ambrato. Apprezzo le tensioni che dal futuro ritornano a visitarmi. Contemplo il mondo attraverso il fondo deformante di un solido bicchiere. Sono lo spettatore scardinato, violentato, avvilito. Ma lo spettacolo non si interrompe. In nome di tutto quello che ci legava un tempo, mi dovrete ancora concedere il lusso di sognare l’esistenza rinnovata, storpiata e guarita nel racconto.

martedì, maggio 01, 2007

Canyon 5


Tutto comincia con queste tracce di energia che mi sforzo di seguire.
Se guardo davanti a me scorgo il passato, solidificato, infranto e ricomposto nella distesa di neve con dentro stampate le nostre impronte, un paesaggio per grazia immensa confluito negli occhi tuoi azzurri dove sempre danzavano scintille imprevedibili che non esistevano in altri luoghi.
Bagliori, tentazioni irresistibili mi richiamano alla condizione di vivente perduto, desiderante, caduto nell’imbuto, inciampato nella frenesia di scovare un’ultima possibilità di averti, di stringerti, di toccarti più a fondo.
I migliori progetti razionali lanciati via senza esitazione. Una palla di stracci incendiati calciata a trattenere qualcosa di struggente dal futuro.
Sconfitto dalle ambizioni deviate, dalle attese eccessive, dalle infantili pose. E pensare che mi specchiavo nelle vetrine sperando di riconoscermi come una divinità per sempre giovane! mi sentivo immortale, protetto dal dolore, a passeggio sopra una scena arredata solo per accrescere lo splendore dei gesti e delle parole!
Se avessimo avuto il tempo di stare insieme per quella piccola eternità tascabile tanto sognata… io tuo allievo, incantato davanti alla quieta saggezza di donna angelica, maturata dentro i venti polverosi del reale, sfuggita – non posso immaginare come, forse solo per magia - alle distruzioni, alle lacrime…