Sono stato assalito da un lampo di memoria sentimentale. Un saluto.
Appartenevamo ad un medesimo territorio di desideri ed aspirazioni. Avevamo in comune l’ansia per gli sviluppi a venire.
Sì, in quel freddo pomeriggio di dicembre noi bruciavamo.
Passeggiando mi sono impegnato a disegnare per H. le scene di una convivenza futura. Guardavamo le vetrine abbellite dalle decorazioni natalizie.
Avremmo potuto affittare una casa in campagna, non lontana dalla città, in modo da non diventare troppo orsi, non volevamo rinunciare alle nostre amicizie: avremmo invitato spesso a cena le persone a cui vogliamo bene. Durante il giorno ognuno avrebbe inseguito le proprie illusioni. Lei poteva scrivere, pensare ai dettagli di un volto, scegliere il colore di un fermaglio che deve trattenere l’onda dei capelli dal precipitare sulla spalla. Io avrei lavorato dentro un fienile riadattato a studio, con le grandi tele appoggiate sulle nude pareti. Senza troppi contatti durante queste ore di lavoro – avremmo evitato le distrazioni - ci potevamo ritrovare la sera nella grande cucina al momento di preparare il cibo per gli ospiti in arrivo, con il piacere e la sorpresa di raccontarci le scoperte che avevamo fatto in quel singolo prezioso giorno.
Quando il momento di lasciarsi è arrivato non abbiamo avuto cedimenti romantici.
Non ci siamo presi per mano.
Abbiamo inseguito una nostra idea di decoro.
Intimi - ma cresciuti in continenti lontani - la sorte ci ha donato lingue così diverse da suonare sempre magiche all’orecchio dell’altro.
E qui dovreste sentire l’attacco di There is a light that never goes out degli Smiths.Stefano Loria
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