domenica, aprile 15, 2007

Canyon 1

Voi siete i miei lettori.
Nel caso siate il tipo di pubblico esigente che ama attribuire un corpo alla voce narrante, se attribuite importanza al fatto di poter vedere in carne e ossa la creatura fantasmatica che vi sta raccontando la storia (e in questo caso a me piace immaginarvi come appassionati e raffinati conoscitori del cinema internazionale di tutte le epoche: quello spettacolare zeppo di effetti speciali, quello sofisticato legato alla politica degli autori, quello sperimentale frammentario e incompleto, quello classico con i buoni sentimenti in evidenza, quello ancora più classico con le perfidie umane in primo piano) allora potrete avvicinarvi calando dall’alto, e mi vedrete.
Mi piombate addosso come se la macchina da presa scendesse giù dal cielo, da una notevole altezza arrivate sopra di me che sto sdraiato a pancia in giù.
Sono corpulento, sovrappeso, tuttavia mi ostino ad indossare un paio di jeans verdi scoloriti tagliati e sfrangiati sopra il ginocchio – quindi trasformati in bermuda degni di un naufrago- abbinati ad una maglietta bianca molto stropicciata. Disteso rasente al bordo di una piscina. Allungo le braccia sopra l’acqua mossa dalle raffiche di vento, ipnotizzato dai riflessi dei raggi solari che illuminano allegramente le palme delle mani. Quando sposto lo sguardo dalla mia pelle arrossata verso il paesaggio circostante vengo abbagliato dal verde acceso delle colline che tracciano morbide aperture.
Il caldo splendore della natura in cui sono immerso non mi rallegra affatto, al contrario, mi affligge, perché la mia giornata interiore si tinge subito- fin dal primo fresco chiarore dell’alba - di un colore malinconico paralizzante.
A dispetto della specie di paradiso terrestre in cui mi avete trovato inserito, io invece percepisco con una esattezza molto spiacevole l’irrevocabile inutilità del presente. Appesantito dagli anni, disincantato dalle delusioni patite, imbruttito dall’eccesso di cibo, invecchiato dal carico delle memorie accumulate. Il peso del mondo mi sta schiacciando, proprio qui - al lussuoso margine assolato della piscina - il cosmo comincia a frantumarsi in milioni di pezzi stupidi. I frammenti si allontanano dall’esplosione iniziale con estrema lentezza. E’ uno spettacolo triste. Una tortura. Per difendermi dalle schegge di questa deflagrazione infinita ho deciso di diventare freddo come il ghiaccio. Umiliato, mi sono ritirato nel profondo dei cunicoli più angusti. Come un aristocratico ratto ho preso possesso del mio regno di fogna.
Ma potrei essere diverso.
Cammino sopra le pietre irregolari di una strada che costeggia un ampio viale, sotto la pioggia abbondante, in un pomeriggio di autunno. Quando alzo gli occhi verso l’aria offuscata vedo scorrere in filigrana dietro le nuvole una luce cangiante dentro la gamma dei grigi. Il cielo è una cupola viva piena di promesse.

Magro, avanzo rapido, mi faccio scudo della giovinezza appena trascorsa. Non devo dimostrare niente a nessuno. Ho già creato gli imperi di intimità e splendore che sognavo fin dall’adolescenza, quando immaginavo magiche soluzioni a dolorosi problemi. Indosso una felpa blu scurissima, con il cappuccio che mi protegge la testa. Comincio a correre. Nel movimento non avverto stanchezza. L’energia in circolazione intorno al mio corpo si accresce attimo dopo attimo. Adesso procedo a grandi balzi schivando i piccoli specchi d’acqua - animati da cerchi concentrici - che le gocce fitte sviluppano conficcandosi a terra in mezzo alle pietre lucide.
Sono avvolto da un’ euforia speciale. E’ un punto di approdo: il risultato di una misura introdotta nel pensiero e nelle scelte di una vita più semplice e povera.
Nuda esistenza proiettata sopra un disegno più grande.
In questa esaltazione c’è consapevolezza. Brilla l’abbandono al fluire delle cose, scintilla la rassegnazione a divenire quello che già sono. Ho accettato la soddisfazione passeggera che può offrirmi un momentaneo successo di lavoro, l’incontro con lo sguardo complice di una ragazza desiderata, l’acquisto di un oggetto prestigioso che volevo possedere da tempi remoti (tutti fenomeni fantastici che da soli potrebbero giustificare l’intera vita).

Ma poi ho desiderato spingermi oltre. Nel mio entusiasmo cantano altre voci: l’accettazione del mutamento continuo, la coscienza di rappresentare un punto di passaggio minimo, mortale, casuale.

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