mercoledì, giugno 28, 2006

QUATTORDICI

Nella sovrabbondanza di visioni, oggetti, comunicazioni, pubblicità, progetti, che ogni minuto mi assediano è chiaramente contenuto un possente dispositivo di manipolazione. Alla massa oceanica delle offerte che mi colpiscono corrisponde una reale possibilità di accedere a questi percorsi ? Temo che nell’età della manipolazione in cui ci troviamo a nuotare, le effettive probabilità di accedere ad una pienezza di esistenza siano sempre più ridotte. E poi si tratta – anche nel più fortunato dei casi - di una pienezza oggettuale, concreta, costruita soprattutto dall’ammasso degli oggetti che compriamo e rapidamente dimentichiamo. Un orizzonte quantitativo piuttosto che qualitativo. Sono prigioniero di un raggio di azione limitato ad un territorio superficiale. La profondità del senso, il valore della ricerca individuale, il silenzio, lo spazio vuoto mentale indispensabile alla riflessione, scarseggiano. Allora mi torna in mente, come una luminosa possibilità, il motto less is more che dal piano estetico (architettura, arte minimalista) si riverbera dentro un sogno di vita migliore. Vorrei essere capace di costruire molto con poco. Usare minimi elementi per tracciare un paesaggio più intenso. Piccoli tocchi là dove è necessario. La forma purificata ad un grado che possa migliorare anche il mio stile di vita.

sabato, giugno 24, 2006

TREDICI

Questo è il numero tredici. Qui si apre la fossa, la voragine senza fondo si spalanca per risucchiarmi dentro le viscere della terra. Con questo numero la fortuna si muta in sventura, e posso dire addio ad una prospettiva di rinnovamento, addio ad ogni progetto di volo. Qui l’orizzonte si abbassa fin quasi a schiacciarmi. Adesso è difficile anche solo immaginare il salto mortale che possa ricondurmi a respirare fuori dal piombo, dalla polvere, dai chiodi che trafiggono il giorno e sembrano ridurlo ad una dura noce di insoddisfazione. Ovunque guardo trionfano il fallimento e l’autocritica. Oggi è la cerimonia del fatale declino. L’estate del mio sconforto è appena cominciata. Mi sento vecchio, appesantito, schiaffeggiato, immiserito e senza voglia di riscossa. Spinto ai margini, condannato all’invisibilità. Tenuto fuori dal cerchio magico del caldo successo in cui nuotano i miei odiosi rivali, coperti di falsi onori e arrampicati sopra troni dorati che non gli spetterebbero. E con il vento che tira, stanotte la nave fantasma si schianterà sopra la scogliera, e questa ridente cittadina sarà invasa dalla nebbia, poi dalla foschia uscirà una massa di zombie incazzati in cerca di vendetta. (Devo proprio dirvelo ? The Fog, del grandissimo John Carpenter).

lunedì, giugno 19, 2006

DODICI

Oggi pomeriggio ho comprato su una bancarella un disco usato che mi sta dando - già adesso che lo ascolto per la prima volta - varie soddisfazioni: Santana III .Un’opera di altri tempi. Anno di grazia millenovecentosettantuno. Malgrado io sia abbastanza vecchio da ricordarmi Carlos Santana giovane, tuttavia non conoscevo questo disco, non lo avevo acquistato ai tempi in cui fu realizzato, né in seguito mi è capitato di ascoltarne neppure una nota. Solo stasera, anno di grazia duemilasei, vengo raggiunto dai brani – rimasterizzati a meraviglia, direi – tutti infuocati, danzanti, visionari, cubani e ispanici e africani, sensuali ma tracciati con rigore geometrico squisito, capaci di infondermi un godimento mentale e corporeo non indifferente. Anche se dovrei essere stanco dopo una giornata di lavoro, vengo lo stesso catapultato in un gorgo temporale – musicale. Una vertigine diabolica provocata da questo cd mi pone alcune domandine: dove è finita l’utopia che accendeva tutte le feste del mondo durante gli anni settanta ? perché ci siamo lasciati sfuggire un sogno di tali proporzioni ? Non potevamo salvarne almeno una scheggia preziosa da portarci dentro i freddi anni tecnologici-bellici che stiamo vivendo ? (queste domande si sono affacciate alla mia parte razionale, ma ora ho deciso di scacciarle : voglio abbandonarmi al ritmo e mentre il giovane Santana sprigiona un assolo pazzesco mi metterò a ballare davanti allo specchio).

venerdì, giugno 16, 2006

UNDICI

E’ chiaro a tutti i lettori dei rotocalchi alla moda, delle riviste patinate, oliate, splendenti di pagine pubblicitarie, che il genere del momento in Italia (ma anche altrove) è il giallo: lui sì che fa mercato ! e scusate, qui dovete inchinarvi – diavolo !- fa mercato, non so se mi spiego, parlo una lingua che potete capire anche voi rimasti al passato, giurassici nostalgici che non siete altro, ancora fedeli alla povertà di un mondo incenerito …insomma per farla breve (non vale la pena di usare concetti troppo complicati) il libro giallo vende molto, la gente lo compra, la storia gialla incanta, seduce appassiona. Temo che l’intreccio malavitoso, l’intrigo criminale, piacciano perché il pubblico riconosce nelle gesta più malandrine l’immagine fedele del proprio paese, ne è orgoglioso, i crimini gli fanno l’effetto di un panorama abituale, così non si spaventa ed anzi si sente a casa là dove l’ammazzamento della fidanzata, l’eliminazione del testimone scomodo, la tortura del picciotto appartenente al clan avverso risultano tranquillizzanti riti in cui la nostra società si rispecchia. Nessuna difficoltà artistica. No signori. Nessuno sperimentalismo, nessuna avventura della forma narrativa. Regna sovrana la trama comprensibile a tutti, il mondo squadernato senza uggiose sovrapposizioni, senza scarti, ridotto ad un suo misero grado di indigesta (per me) semplificazione.

lunedì, giugno 12, 2006

DIECI

Il miracolo potrebbe ripetersi ancora una volta. L’irrompere di una felicità immotivata dentro il tessuto dell’esperienza. Un rinnovamento può apparire a sorpresa proprio quando sembra regnare la sterile ripetizione di modelli logorati ai quali non crediamo più. Tutta l’energia sembrava dissolta dal mutismo, ci pareva di essere schiacciati dalle leggi del mercato cieco, ripiegati nella contemplazione di uno spazio devastato. Spesso abbiamo confessato di sentirci depotenziati, rimpiccioliti, del tutto assorbiti dal conflitto sanguinoso. E invece le cose non stanno così. Le forze che oggi dominano il campo non devono essere considerate come un destino fermo che riempirà tutto il tempo futuro. Le forme cambieranno. Mi fermo a riflettere sull’immagine di un cielo attraverso il quale le nuvole vengono trascinate dai venti. Veloci passano le materie e trascolorano. Quando sono testimone di questi dinamismi celesti riesco a sentirmi addosso una certa disposizione verso l’allegria.

sabato, giugno 10, 2006

NOVE

La scomparsa di Enzo Siciliano pesa sulla scena della cultura italiana contemporanea in modi differenti. Genera un vuoto, un’assenza di energia e dinamismo che ci addolora e ci preoccupa anche per il futuro. Vogliamo ricordarlo come una figura molteplice: compagno di viaggi e di avventure al fianco di artisti e scrittori tra i più geniali – su tutti due nomi: PierPaolo Pasolini e Mario Schifano – ha condiviso con loro i vortici inebrianti e pericolosi di un’epoca straordinaria in cui le tendenze letterarie, le scuole critiche, i movimenti di avanguardia, si sono intrecciati a disegnare paesaggi dotati di profondità cangianti, illuminati dai fuochi di polemiche spesso aspre ma sempre vivificanti. Scrittore, intellettuale curiosissimo di altre discipline, Siciliano teneva gli occhi molto aperti anche sull’arte contemporanea e sapeva leggere il nucleo pulsante di musiche differenti. Sapeva riconoscere le fascinazioni segrete, le interconnessioni guizzanti sotto la superficie delle opere, leggeva le impronte estetiche fluttuanti da un linguaggio specifico fin dentro gli altri alfabeti concreti della realtà politica e sociale. Lo ricorderemo con rispetto ma anche con molto affetto, perché possedeva – ben saldo dentro le tante competenze più strettamente tecniche di critico fine ed inventivo – una potente statura morale. Non ha mai dimenticato che libri, quadri, film, spettacoli teatrali, filosofie, valgono naturalmente per se stessi, per la loro potenza di segno espressivo, ma al tempo stesso dovrebbero anche condurci dentro un mondo meno ingiusto di quello che ci lasciamo ogni giorno alle spalle. Questo suo felice spessore etico lo ha portato sempre a dialogare con autori tanto più giovani di lui (e spesso anche molto differenti dalla sue posizioni) offrendo la propria curiosità e disponibilità ad una azione molto concreta: dobbiamo ricordare la sua eccezionale – per impegno e durata nel tempo - attività di organizzatore di riviste letterarie, di promotore di eventi, di scopritore di nuovi talenti. Ci mancherà molto.

martedì, giugno 06, 2006

OTTO

Non dovrei (ma lo faccio sempre) accendere il lettore cd e mettere una musica di sottofondo mentre sto scrivendo. Ha certamente ragione quello scrittore - ma chi era ? non riesco a ricordarlo – che sosteneva il rischio di questa mossa : se tieni una grande canzone sotto, qualsiasi cosa scrivi ti sembra bellissima. Quando poi la rileggi, il giorno dopo, una settimana dopo, un anno dopo, quella stessa pagina ti appare tutta malconcia, scardinata, oppure bambinesca nella sua semplicità o troppo strappacuore o comunque sbilenca e fuori bersaglio, o sbagliata per un eccesso di sentimentalismo. Perché è fatale : l’energia della canzone va ad incunearsi dentro il testo e lo salva, lo nobilita nell’attimo stesso in cui viene al mondo, crea un cortocircuito benefico. La qualità del paesaggio sonoro finisce per riverberarsi nella tessitura del discorso e rende tutto splendente di un incanto giunto dall’esterno. E’ come una specie di nevicata magica che trasforma anche il più modesto angolino di campagna in un maestoso panorama pieno di fascino. Invece quando scrivo nel silenzio assoluto mi sento uno che attraversa il deserto sapendo di non uscirne vivo.

domenica, giugno 04, 2006

SETTE

I due musicisti celano le loro identità dietro sinistre maschere nere con lunghi nasi da uccelli rapaci. Fotografati di notte, con lo sfondo di una scura densa foresta, sembra proprio che siano usciti dalla nera selva per compiere azioni crudeli. Sono fratello e sorella – dice la pubblicità – ma potrebbe non essere vero. Magari sono amanti. O potrebbero essere nemici riuniti davanti al fotografo prima di un ultimo duello mortale. In ogni caso mi sembrano presenze inquietanti. Poi c’è la loro musica. Per quel poco che mi è capitato di ascoltare è ben costruita nelle trame elettroniche, con voci talvolta sogghignanti, atmosfera vagamente psicotica, quindi perfetta per accompagnarti mentre vaghi da solo dentro i corridoi di un supermercato vuoto alle due del mattino. Si chiamano The Knife. Il nome – devo riconoscerlo – è fantastico. Mi sembra al passo con i tempi in cui siamo immersi. Anche la copertina dell’ultimo cd che hanno prodotto è oscura ed attraente. Qualcosa di morboso mi consiglia di acquistarlo. Non so se lo farò, devo riflettere meglio. Devo valutare le mie riserve di coraggio: quanto cinismo sono disposto a regalarmi durante le ore di relax ?

venerdì, giugno 02, 2006

SEI

Una preoccupazione ricorrente, adesso che invecchio: tutti i film visti, le musiche ascoltate, i libri letti, mi serviranno per produrre qualcosa di personale ? L'ossessione di accumulare, l'accatastarsi dei materiali negli archivi mentali, sopra i ripiani delle librerie straboccanti, nei file dei computer, nei raccoglitori di cartone colorato chiusi con gli elastici, potranno risultare utili al momento di inventarsi qualcosa di anche minimamente originale ? Mi pare che sia stato (ma forse la memoria mi tradisce) Andrea Zanzotto a sostenere che l'ideale sarebbe quello di avere letto tutto e poi - subito prima di mettersi a costruire un'opera - bisognerebbe dimenticare tutto. Grande ricetta. Se penso ai decenni di consumi culturali che ho sopra le mie spalle, mi sento schiacciato e vecchissimo. Immagino che questa preoccupazione oggi sia stata aggravata dall'avere ascoltato a lungo un vecchio cd degli Smiths. Un gruppo fantastico da sentire anche adesso, a venti anni di distanza. E' l'antico decrepito tema della memoria, ingigantito dalla potenza infinita degli archivi elettronici. Sono stato spettatore di così tanti, davvero innumerevoli, fatti artistici da sentirmi logorato, consumato anche solo come testimone di questa galleria di miracoli estetici. Il peso dell'esperienza creativa altrui può fiaccare, oppure può ribaltarsi in una straordinaria spinta energetica. Un dilemma che è stato molto dibattuto all'interno delle filosofie del postmoderno, da punti di vista variabili e attraenti. Ma alla fine ci ritroviamo sempre allo stesso punto. Bisogna sperare di non venire schiacciati dall'angoscia dell'influenza, tentare di sottrarsi al cerchio fatato della tradizione. Sfuggire all'attrazione dei grandi autori cannibali.

giovedì, giugno 01, 2006

CINQUE

Sono stato assalito da un lampo di memoria sentimentale. Il ricordo di un ultimo saluto tra due anime che appartenevano ad un medesimo territorio di desideri ed aspirazioni. Sentivamo di avere in comune l'ansia per gli sviluppi futuri. Sì, bruciavamo. E' chiaro che avremmo potuto condividere la vita. Passeggiando in quel freddo pomeriggio di dicembre mi sono impegnato a disegnarle le scene di una convivenza fatata. Guardavamo le vetrine abbellite dalle colorate decorazioni natalizie. Sognavamo. Avremmo potuto affittare una casa nel Chianti, in una località non troppo distante dalla città, in modo da non diventare troppo orsi, non volevamo rinunciare alle nostre amicizie: avremmo invitato spesso a cena da noi le persone a cui vogliamo bene. Durante il giorno ognuno avrebbe inseguito le proprie illusioni. Lei poteva scrivere la sceneggiatura dei suoi video, pensare ai dettagli di un volto, scegliere il colore di un fermaglio che deve trattenere l'onda dei capelli dal precipitare sulla spalla. Io avrei dipinto dentro un fienile riadattato a studio, con le grandi tele appoggiate sulle nude pareti. Senza troppi contatti durante queste ore di lavoro e avremmo evitato troppe distrazioni - ci potevamo ritrovare la sera nella grande cucina al momento di preparare il cibo per gli ospiti in arrivo, con il piacere e la sorpresa di raccontarci le scoperte che avevamo fatto in quel singolo prezioso giorno. Il momento di lasciarsi è arrivato. Non abbiamo mai mostrato alcun segno di cedimento romantico. Non ci siamo mai presi per mano. Camminavamo seguendo una nostra idea di decoro. Intimi, ma cresciuti in continenti lontani, la sorte ci ha donato lingue così diverse da suonare sempre magiche all’orecchio dell'altro.