venerdì, luglio 28, 2006

DICIANNOVE

In che razza di naufragio mi sono trovato ? In quale oceano mi sono perduto ? Eppure stando qui, disteso sopra la sabbia di questa isola, accecato dal sole che picchia duro, in completa solitudine, lontano migliaia di chilometri dalla nazione in cui abitavo, non avverto nessuna nostalgia della mia vita precedente. Anzi, mi sento rinascere, mi pare di guadagnare – attimo dopo attimo, onda dopo onda che viene a battere sulle gambe abbandonate dentro l’acqua – una consapevolezza del presente particolarmente felice, come se il tempo adesso si schiudesse alla possibilità di recuperare una lucidità di sguardo sopra il verde della vegetazione splendente, dentro il blu delle maestose ondate srotolate sotto i miei occhi socchiusi per proteggermi dal riflesso intensissimo. Nessuna disperazione. Brillo di solitudine anche di sera, quando il buio cala lento dopo uno spettacolo di tonalità azzurre e rosa sfumate in sottilissime variazioni che mi generano una grande commozione. Sembra un destino benigno quello che mi ha gettato su questa isola. Sfuggito alla tempesta. Miracolato. Vivo. Per la gioia mi metto a ballare come uno sciocco per lunghi minuti, costruisco tutto un teatrino di saltelli, pose graziose e inchini finali di ringraziamento per un pubblico immaginario che applaude. Il loro entusiasmo è così fragoroso da superare – per un attimo magico che mi fa lacrimare di soddisfazione - il rumore del mare.

sabato, luglio 22, 2006

DICIOTTO

Tagliato fuori dalla bellezza. Strappato al regno delle esperienze di altitudine, quando potevo sorvolare da una grande quota - e abbracciare con lo sguardo riconoscente - le distese del territorio che avrei poi percorso a piedi per verificarne i dettagli. Isolato dal fluire dei progressi impercettibili, dal movimento vitale delle interferenze, delle sovrapposizioni che si sommano attimo dopo attimo a costruire un mosaico gigantesco, escluso dalla gioia delle improvvise virate, quando la rinfrescante rivoluzione giunge a sorpresa a scombinare le carte dei grandi conservatori e delle vecchie generazioni ammuffite. Ma oggi anch’io sono pietrificato. Il vento è calato e adesso nella baia abita una calma sovrannaturale. Il buio si avvicina. La memoria è esplosa in tante schegge ormai prive di significato. Mi sento il reperto fossile di un’età scomparsa. Il residuo bizzarro di un’epoca tramontata che nessuno in futuro vorrà studiare. Ma se chiudo gli occhi e allungo il braccio fuori dalla barca, lasciando scivolare la mano nell’acqua, mi sento subito molto meglio: mi pare che dal mare salga un’ allegria frizzante che mi salva ancora una volta dai soliti abissi in agguato.

domenica, luglio 16, 2006

DICIASSETTE

Voglio mettere uno accanto all’altro due elementi di esperienza personale. Cosa c’entra il fatto che io riesca a realizzare materialmente non più del tre per cento dei quadri che disegno sui miei taccuini con la scarsa attenzione che si presta nella pratica quotidiana alla disciplina sublime della filologia (intesa nel senso migliore : amore per il significato originario delle parole) ? In apparenza si tratta di due fenomeni parecchio distanti. Mi rendo conto. Eppure ho il sospetto che si possa tracciare un filo rosso che in qualche modo li unisca. Sono sempre distratto ed assordato dal rumore della comunicazione globale, incessante, pervasiva, torturante. Prendo per scontato il significato dei termini che uso quando parlo e leggo. Non mi faccio domande sulla purezza semantica contenuta dentro le parole della mia lingua, non mi interrogo sulla scintilla iniziale che questi segni possedevano in tempi remoti quando ancora erano parole giovani all’inizio della loro avventura. Sono pigro e ormai abituato a non scendere nel profondo. Vivo in un presente opaco che può offrire pochi significati per volta. Ho perso la capacità di navigare dentro le trasparenze del linguaggio, muovendomi da un livello all’altro, da uno strato all’altro dei sensi che si sono generati attraverso le esperienze e gli usi, dall’attrito delle parole con la materialità del mondo. Sono condannato ad sorta di monotonia mentale. Una prigione, una dimensione da incubo non meno terrorizzante dei corridoi abbandonati e minacciosi del film Silent Hill (tanto per fare riferimento a qualcosa che appartiene alla stratificazione dei linguaggi : videogiochi e cinema). Per questo non riesco a dipingere tutti i quadri che vorrei. Sono appiattito dentro una paralisi della volontà. Sono stregato da una piattezza di orizzonti. Ho perduto l’abilità (ma l’ ho mai posseduta ?) di saltare attraverso dimensioni differenti, alla ricerca di una purezza ancestrale - probabilmente illusoria - ma comunque salvifica anche se inseguita come meta irraggiungibile, come vivo stimolo a non farsi rinchiudere dentro un corridoio senza vie d’uscita.

sabato, luglio 08, 2006

SEDICI

Potrei dire di essere un buono a nulla. Ma anche questa - ad essere sincero - è un’ attività non facile per me: è molto complicato fare nulla, annientarsi dentro un’azione che possa cancellarti mentre continui ad esistere, a pesare, a pensare (purtroppo capita di insistere a ragionare, anche quando non vorresti proprio pensare a niente). La memoria definisce la mia identità attimo dopo attimo, non funziona solamente come un archivio di esperienze chiuse ma dà forma alla mia percezione del presente, così il carnevale degli anni continua ad operare strane metamorfosi. Per fortuna ho la facoltà di dimenticare innumerevoli informazioni, la mia è davvero una mente che cancella. Volti, viaggi, titoli di canzoni, storie di film, indirizzi, errori, piccole vittorie, serate trascorse con amici, perfino la consistenza di una pelle accarezzata, addirittura la vertigine sublime di un bacio imprevisto che mi capitò di dare al termine di pomeriggio estivo pigro senza storia. Tutto in cenere, tutto polverizzato ed irrecuperabile dentro la mia mente disordinata, negatrice di vita. Tento di consolarmi di queste dolorose perdite ripetendomi che l’oblio è necessario, è un male inevitabile: serve a fare per spazio a nuovi ricordi che arriveranno. Ma è una consolazione che io per primo sento suonare malinconica. Al tempo stesso non vorrei proprio essere capace di ricordare tutta la mia vita. Impazzirei dopo un minuto.

sabato, luglio 01, 2006

QUINDICI

Arriva la perdita del senso a ricordarmi quando esile è il filo che ci tiene legati alle nostre stesse esperienze, valutazioni, giudizi. Parametri variabili. Non si tratta di costruzioni monolitiche, blocchi di granito che segnano il paesaggio. No. Piuttosto sono liquidi materiali sospesi dentro i pensieri, materie cangianti collegate ad altre schegge in esplosione, come potete vedere nei progetti dell’architetto (ma il maschile inganna, è una donna, ma chiamarla architetta mi suona troppo buffo) Zaha Hadid, di cui si apre in questi giorni al museo Guggenheim di New York una – pare straordinaria – mostra che purtroppo io non vedrò perché resterò sempre qui, lungo tutta questa estate già rovente e incattivita, in città a fare il mio lavoro. Strutture raccontate in movimento, nell’atto stesso di disintegrarsi ed acquisire una nuova identità, un reticolo mirabile di equilibri frantumati eppure al tempo stesso solidi, proprio come immaginiamo l’intreccio dei neuroni che costituiscono la materia pensante. Progetti fragili e imbevuti di una intensità suprema. Se la malinconia estiva mi trafigge, mi basta sfogliare un catalogo della Hadid per sentirmi meglio. Direte che mi accontento di poco. Non è vero.