sabato, luglio 01, 2006

QUINDICI

Arriva la perdita del senso a ricordarmi quando esile è il filo che ci tiene legati alle nostre stesse esperienze, valutazioni, giudizi. Parametri variabili. Non si tratta di costruzioni monolitiche, blocchi di granito che segnano il paesaggio. No. Piuttosto sono liquidi materiali sospesi dentro i pensieri, materie cangianti collegate ad altre schegge in esplosione, come potete vedere nei progetti dell’architetto (ma il maschile inganna, è una donna, ma chiamarla architetta mi suona troppo buffo) Zaha Hadid, di cui si apre in questi giorni al museo Guggenheim di New York una – pare straordinaria – mostra che purtroppo io non vedrò perché resterò sempre qui, lungo tutta questa estate già rovente e incattivita, in città a fare il mio lavoro. Strutture raccontate in movimento, nell’atto stesso di disintegrarsi ed acquisire una nuova identità, un reticolo mirabile di equilibri frantumati eppure al tempo stesso solidi, proprio come immaginiamo l’intreccio dei neuroni che costituiscono la materia pensante. Progetti fragili e imbevuti di una intensità suprema. Se la malinconia estiva mi trafigge, mi basta sfogliare un catalogo della Hadid per sentirmi meglio. Direte che mi accontento di poco. Non è vero.

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