venerdì, gennaio 05, 2007

Cieli, piscine, pericoli


Franz Kline • Monitor 1967
Originally uploaded by nienien.
Unico e sempre cangiante. Invocato per ottenere protezione dalle sventure che ci minacciano, altre volte maledetto per quelle che ci hanno già colpito. Lo immaginiamo popolato da schiere di angeli che spiano con benevolenza le nostre modeste attività, ma quando le cose girano al peggio e la delusione ci travolge, siamo rapidi nel giudicarlo come uno spazio del tutto vuoto: un palcoscenico abbandonato dalle divinità che ci offre lo spettacolo della desolazione celeste.
Il cielo è sempre uguale a se stesso ma anche eternamente sottoposto ai cambiamenti di capricciose correnti, trasformato dal continuo mutare dei colori, attraversato dalle proiezioni intime di chi lo osserva.
Dal mio punto di vista la sostanza di cui è fatto il cielo assomiglia più di tutto all’acqua. Una delle mie opere d’arte preferite è un famoso quadro di David Hockey in cui un giovane uomo – pantaloni bianchi e giacca rossa, capelli lunghi biondi - è in piedi davanti al bordo di una piscina e guarda dritto davanti a sé per studiare la figura di un altro uomo che sta nuotando immerso a pelo d’acqua. La scena è collocata in una ridente vallata, con colline rigogliose di verde natura, nella piena luce di una splendida giornata estiva. La concentrazione rivolta dal giovane alla profondità di quella piscina mi ha sempre fatto pensare – fin dalla prima volta che vidi il quadro – all’immensità del cielo. Nella mia percezione, lo spazio liquido di Hockey rimanda sempre alla speranzosa contemplazione del cielo, quando siamo in attesa di un miracolo che possa arrivare da quella instabile materia.
Vere e proprie rappresentazioni del cielo mi sono sempre sembrate anche le opere di Mark Rothko e Franz Kline. Ma si tratta di orizzonti molto differenti.
Nel primo caso – penso soprattutto nelle tele basate sui colori di terra, con quelle tonalità marroni che sprofondano nel viola – vedo cieli di pura meditazione. Rothko aveva questa capacità straordinaria di creare luoghi di infinita quiete. Sono immagini di un paradiso immobile, un posto situato al di là delle nostre più lontane speranze, una porzione di colore assoluto in cui regna una compostezza senza tempo. Qui non c’è bisogno di desiderare più nulla perché ogni aspirazione è già realizzata.
Al contrario i cieli di Kline sono campi di battaglia in bianco e nero. Luoghi pesanti che assomigliano molto a quelli in cui viviamo nella realtà. Spazi pieni di vento nei quali si scontrano forze imponenti. Quando osservo le dinamiche in atto dentro questi cieli tempestosi non sono più un semplice spettatore protetto dalla tradizionale distanza fra opera e pubblico. Capisco di essere in pericolo. Mi sento incalzato dallo scorrere del tempo. Le ferite del passato ricominciano a sanguinare. La furia di questa pittura mi conferma che nessuna redenzione sarà possibile.

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