domenica, settembre 03, 2006

VENTISEI

Contro la semplice apparenza e la recita che mi trovo a costruire quasi sempre davanti agli estranei e anche davanti agli amici - per non offendere la loro buona disposizione verso di me - contro l’immagine che è necessario offrire nella società del progresso continuo e del successo ad ogni costo presso i luoghi di moltiplicazione della finzione stessa dentro i mezzi di comunicazione di massa, contro la regola di sopravvivenza che imporrebbe di non deprimersi troppo per non abbassare le proprie difese immunitarie, contro questi imperativi del tutto superficiali devo ammettere di essere invece spesso convito della nullità della mia azione dentro il mondo sia per cambiarlo (cosa ovviamente del tutto impossibile, anche nel mio piccolissimo quotidiano, anche partendo dal raggio d’azione microscopico di ogni giorno) sia per sopportarlo (sforzo ormai sovrumano e comunque superiore ad ogni mia risorsa). A questo rendiconto negativo devo aggiungere una fosforescente consapevolezza di fallimento intimo, tanto doloroso e potente da trasformarsi alla fine del bilancio in una sostanza quasi vittoriosa: malgrado tutti i disastri in cui mi trovo, continua a sventolare in mezzo alle tempeste il vessillo stracciato con sopra scritto in bella calligrafia il mio nome.

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