martedì, giugno 26, 2007

Giardino



Un luogo tranquillo. Esiste nella mente di chi non è schiavo.
In un tempo brevissimo – una velocità sperimentata nell’esperienza privata che non possiamo isolare e far brillare per tutti gli altri – il territorio è investito da un tifone. L’acqua traccia righe in pesante caduta verticale. Spesse cortine scroscianti costruiscono la decorazione per un paesaggio incupito di terreno marrone ruggine e vegetazione rigogliosa.
Seduta nella stanza al primo piano, Sara distoglie l’attenzione dalle pagine di un romanzo di Peter Handke, L’ora del vero sentire. Leggere secondo lei è un modo per acquisire sensibilità, vuole imparare a riconoscere gli elementi della sua scena intima in costante variazione. Si distrae, smette di seguire le sequenze dei caratteri tipografici che edificano un intero punto di vista sul mondo. Attraverso le grandi finestre entra il ticchettio delle gocce sopra le foglie. Stabilizza questo sfondo sonoro come base per un dialogo con se stessa.
Vorrebbe scovare una scheggia ancora salva dentro la propria interiorità.
Spera di non essere stata contagiata dal generale vento di sfiducia.
Se in passato Sara aveva desiderato avvampare, totalmente immersa nel cuore stesso degli accadimenti, in sintonia con le trasformazioni più anarchiche diffuse intorno a lei, adesso al contrario avverte forte l’impulso a prendersi una pausa, calandosi in una dimensione silenziosa di confortevole estraneità al presente.
Comprende di essere affaticata dal vuoto emozionale che impera nella tormentata materia sociale.
Rimane visibile un problema resistente ad ogni terapia: è possibile creare autentici segni della propria presenza nel mondo senza prima essersi spinti ai confini di una foresta pericolosa ?
Si pone questa domanda Sara mentre osserva il prato verde, fonte di energia ottica anche sotto il riverbero di un cielo grigio scuro animato da grandi masse di nuvole in rapido movimento dentro le correnti.
Scende le scale. Esce fuori in giardino avvolgendosi nella mantella gialla impermeabile. I capelli biondi spettinati si inzuppano dopo pochi passi. Al centro del vivo verde. Chiude gli occhi. Respira con lentezza.
Con le rigature dell’acqua che le scorrono addosso comincia a ruotare su se stessa, a braccia allargate, piccoli passi imprimono un moto regolare al suo corpo.
Trivellazione. Fora lo strato superficiale in cui prosperano radici, vermi, pietrisco sminuzzato, concime, humus. Ancora più sotto. Penetra nelle rocce calcaree. Sempre più giù. Sonnambula. Sprofondando buca gli spessori geologici, precipita nelle sedimentazioni della cronaca nazionale. Progetto di colpo di Stato nell’Italia che attende il trionfo - alquanto improbabile nella verità dei fatti - del verbo comunista. Piano fallito. Rapimento di uomo politico simbolo di un potere creduto intangibile e suo omicidio con cadavere abbandonato nel bagagliaio di un’auto rossa nel centro di Roma. Azione riuscita. Bombe che esplodono in piazze e sedi di banche, in treni e in stazioni. Corpi sventrati. Stragi. Magistrati, giornalisti, sindacalisti, agenti delle forze dell’ordine. Cancellati dentro il gigantesco frullatore. Questo mattatoio - le hanno insegnato più tardi - si riassume sotto il titolo di strategia della tensione.
Scavare un tunnel. Approdare al centro incandescente della sfera terrestre. Nuotare nel magma.
Sara spalanca gli occhi. Guarda gli alberi gocciolanti nella calma della mattina piovosa in svolgimento pigro. I tronchi sembrano brillare accostati alle forme moderniste della casa.
Rientra all’interno.
Vede suo figlio carponi sul pavimento, indaffarato a montare uno sull’altro mattoncini plastificati per costruire una città in miniatura ma completa: strade, casette colorate, il distributore di carburante, la scuola, il cinema, la fabbrica.
Sara si toglie la mantella gialla tutta bagnata. Ha i capelli scuriti dall’umidità.
Si siede sul tappeto e comincia a giocare con il bambino.

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