martedì, giugno 12, 2007

Racconto d'inverno



Nell’inverno del mio scontento esasperato, dico addio all’euforia dell’ adolescenza e mi preparo a resistere in tempi difficili. La luce comincia ad affievolirsi, l’orizzonte della giornata si accorcia. L’oscurità scende sopra la foresta. E’ un processo graduale che affascina Ariel in modo profondo. Camminare attraverso boschi innevati è diventato il nostro svago preferito. Facciamo lunghe passeggiate, in luoghi del tutto diversi da quelli a cui eravamo abituati, senza strade e negozi, senza traffico in perenne movimento. Non incontriamo gli amici alla caffetteria della libreria per bere qualcosa e raccontarci gli ultimi pettegolezzi.
Siamo davvero soli dentro un paesaggio immenso disabitato.
Ci siamo inventati percorsi differenti attraverso la foresta, contrassegnando con pezzi di stoffa colorata determinati alberi che servono da punti di riferimento.
Se seguiamo le tracce dei fazzoletti rosso rubino inchiodati ai tronchi, possiamo giungere dopo circa tre ore di cammino ad una zona pianeggiante con voluminose rocce nerastre affioranti dal terreno. Ho detto ad Ariel che mi sembrano i resti di un tempio esploso. E’ un luogo ideale nel quale fermarsi a riflettere. Ci lasciamo invadere dalla bellezza del paesaggio.
Seguendo un percorso contrassegnato da ritagli di tessuto verde possiamo giungere alla superficie di un lago ghiacciato. Avanziamo sull’ampio specchio offuscato strisciando a fatica i passi. Con mosse goffe scivoliamo e cadiamo sopra la superficie durissima.
Ci inginocchiamo. Tiriamo fuori lunghi coltelli con robusti manici di legno e cominciamo a tracciare sopra il ghiaccio - venato di ombre bluastre - graffiti gioiosi. Segniamo questo pavimento traslucido con gesti accaniti, c’è la frenesia che si riserva ad un lavoro essenziale per la sopravvivenza. Facendo questo balletto sul ghiaccio entriamo in uno spazio diverso da quello strettamente geografico. Il luogo sbiadisce e diviene invisibile. Ci agitiamo, continuiamo a colpire il suolo staccando aguzzi frammenti congelati. Quanto più ci sforziamo, quanto maggiormente sembra di restare perfettamente immobili al centro di una zona astratta, un posto senza foreste e senza distese innevate. Del tutto perduti dentro l’azione. Ma siamo connessi. Collegati alle menti di altri sconosciuti – lontanissimi, inchiodati in altre parti del globo, seduti sul letto nelle loro camerette, con il viso tra le mani, schiacciati da un attacco di malinconia. Sento che adesso vorrebbero tutti stare al nostro posto. Ci invidiano. La forza del loro desiderio sarebbe capace di liquefare il lago immobilizzato sotto i nostri corpi. Meglio tornare subito a casa.

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