lunedì, giugno 25, 2007

Una velocità infinita



Mattina presto. Risveglio. Ariel è seduta al bordo del letto. Sono ancora assonnato ma cerco di concentrarmi per osservarla, catturato dal sollievo di vederla ancora una volta accanto a me. Entrambi siamo silenziosi e concentrati.
A cosa stava pensando Ariel in quel primo giorno di vita insieme? Sembrava assente, astratta in una dimensione delicata. Mi pareva protetta da una pellicola di natura indefinita, forse era uno spessore di dolore, ma poteva essere anche l’attesa di un mio gesto affettuoso che confermasse la solidità di quel momento.
All’inizio della nostra vita insieme è stato difficile interrompere quella ricorrente condizione di incertezza.
Ariel poteva restare immobile per ore ed ore contemplando un punto indefinito del paesaggio fuori dalla finestra.
Quando emergeva da questa trance si ritrovava in possesso di poteri che andavano al di là della mia immaginazione.
Riusciva a spostare piccoli oggetti da un punto all’altro della stanza con la semplice energia della mente. Le piaceva giocare con piccoli oggetti di uso quotidiano. Molte volte mentre stavo disegnando le mie esili architetture sopra le grandi carte ho visto all’improvviso la bianca gomma per cancellare animarsi: trascinata per l’intera lunghezza del tavolo, buttata giù a terra, e poi spostata attraverso il pavimento come se un soffio impalpabile la stesse governando. Sembrava viaggiare sopra un cuscinetto d’aria, senza il minimo attrito.
Ariel mi aveva chiesto di ospitarla per una sola notte. Invece è rimasta con me a lungo.
Con l’arrivo dell’estate un tepore amichevole si diffondeva nelle foreste intorno alla casa ed era più facile fare lunghe passeggiate. Senza preavviso si fermava di colpo, trattenuta da un ostacolo invisibile che le impediva di avanzare. Stava irrigidita a guardare una radice spuntata dal terreno, teneva la testa inclinata di lato. Il profilo del suo volto pallido creava un bel contrasto con la stoffa nera del cappuccio.
Una sera, eravamo tornati a casa dopo un pomeriggio fantastico trascorso correndo attraverso i boschi autunnali, seduta sul divano del salotto – senza neppure togliersi gli indumenti sportivi usati per la corsa- mi ha chiesto che portassi una tazza da tè vuota ed un bicchiere colmo d’acqua.
Ho appoggiato gli oggetti sopra il tavolo di legno scuro, in mezzo alle pile di riviste e giornali. Sempre tenendo il cappuccio in testa Ariel ha versato il contenuto del bicchiere dentro la tazza.
L’aria è ferma nella stanza. Io sto aspettando che accada qualcosa.
Lei è trepidante, folgorata da un flusso di velocità infinita.
L’acqua è nella tazza. Fisso il liquido trasparente. Poi distolgo lo sguardo perché preferisco non spiare il momento esatto della trasformazione. Mi dedico a studiare per qualche secondo le oscillazioni delle cime degli alberi battute dal vento.
Lei non fa niente di diverso dal solito. Sembra seguire pensieri che la portano lontano da me.
Quando riguardo la tazza mi accorgo che contiene solo dura materia gelata.
Nessuna alterazione nella temperatura della stanza. Non vedo niente di diverso dal solito.
C’è solo questo nuovo dettaglio del ghiaccio nella tazza.

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